Elogio del cloud ibrido, che mette d’accordo tutti: vendor, partner e clienti

In medio stat virtus, la massima latina riassume molto bene lo stato dell’arte del cloud. Per anni diviso tra cloud privata e pubblica, tra on premise e outsourcing totale, oggi il mercato ha trovato l’assetto giusto che, appunto, sta nel mezzo, ovvero nel cloud ibrido.

Per strutturare un cloud ibrido si sfrutta un’infrastruttura di tipo as-a-service (IaaS) pubblica, un cloud privato, che potrebbe anche essere on premises, ovvero presso il cliente, e una connessione di tipo Wan (Wide Area Network) che garantisca un collegamento ad alta affidabilità – sicuro e veloce – tra i due cloud.

Il coinvolgimento di ambienti diversi richiede estrema attenzione nella progettazione del flusso di informazioni che circolano ma, allo stesso tempo, la presenza di una IaaS garantisce una gestione ottimale dei carichi di lavoro applicativi e dello storage, fornendo, inoltre, risorse applicative e capacità computazionale impensabili in una architettura IT tradizionale.

IBM cresce sempre di più nel cloud ibrido

Con i recenti annunci, IBM pianta ancora più decisa la propria bandiera tra i leader del cloud ibrido. L’acquisizione di Red Hat per 34 miliardi di dollari è stata approvata dagli azionisti e ora è finalmente il momento di passare alla fase operativa. A corredo, si aggiunge un accordo da 325 milioni di dollari con Juniper Networks e la partnership da 550 milioni in otto anni con Vodafone.

L’acquisizione per 34 miliardi di dollari di Red Hat da parte di IBM finalmente è operativa: così l’offerta cloud ibrido sarà ancora più completa.

Impegni concreti per IBM, che dimostrano quanto l’azienda creda al cloud ibrido. E, visto il carattere particolare di questo paradigma in cui le componenti consulenziale, progettuale e di integrazione rappresentano il cuore di tutto il progetto, l’impegno dimostrato da IBM non può che rallegrare i Business Partner come Uno Informatica.

Già, perché nessuno come un partner attivo sul territorio conosce la situazione IT dei propri clienti, e nessuno come un partner è in grado di fornire le competenze consulenziali necessarie in fase progettuale, di studio dei carichi previsti e di scelta e integrazione delle soluzioni applicative.

Non sei ancora convinto che il cloud ibrido sia la soluzione migliore? Consideriamo ciò che abbiamo scritto poco fa: “fornendo, inoltre, risorse applicative e capacità computazionale impensabili in una architettura IT tradizionale”. Che vuol dire esattamente questo: anche investendo non sarebbe mai possibile raggiungere le potenzialità applicative dell’offerta disponibile in una infrastruttura IaaS.

Gli applicativi di nuova generazione votati all’analisi dei dati

All’interno di un’offerta IaaS, infatti, è disponibile una grande varietà di applicativi, molti dei quali soddisfano le necessità di una Digital Transformation fatta bene. L’Intelligenza Artificiale di cui si parla tanto, per esempio, molto spesso si riferisce al machine learning, ovvero alle capacità di prevedere determinati eventi a partire dall’analisi dei dati e delle informazioni che l’azienda fa transitare ogni giorno sul cloud.

Possono essere informazioni finanziarie che, se ben gestite, ci possono fornire dei forecast precisi. Possono essere informazioni che riguardano la clientela (CRM) o la logistica e, anche in questo caso, le funzionalità di machine learning possono aiutare non poco a conoscere meglio il proprio cliente o a ottimizzare i processi logistici.

I nuovi applicativi aziendali puntano molto sulla raccolta e l’analisi dei dati, tanti dati, e la capacità di elaborarli a fini predittivi.

In fondo, il perno su cui si basa tutto il paradigma sono i dati, tanti dati, e la capacità di applicativi di altissimo profilo di elaborarli a fini predittivi. È possibile che un’azienda cliente abbia qualche remora ad accettare “tutto il pacchetto” ma è altrettanto possibile che si ricreda in poco tempo, anche grazie alle modalità di retribuzione dei servizi, basate su un utilizzo effettivo delle risorse e su periodicità mensile. E tutto ciò farebbe saltare di gioia il vostro direttore finanziario: già, perché il Capex si trasforma come per incanto in Opex. Non male, no?

 

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